Visioni da lontano – Sara Cwynar in mostra alla 52 Walker Gallery: Baby Blue Benzo
Molto. Di quest’artista newyorkese si può dire solo questo: molto. La sua produzione è ricca, lussureggiante, come una foresta esotica: alberi imponenti, frutti enormi, uccelli e insetti variopinti, una flora e una fauna grandiose.
Si impone. Si vede. Ti aggredisce alla vista per la sua enormità, per la sua evidenza.
Nelle opere di Sara Cwynar, ciò che appartiene alla società – che è anche civiltà, ma non sempre – viene amplificato, esploso, mostrato senza mediazioni. Società e civiltà sono cose distinte: e l’artista sembra interessarsi più alla prima, in particolare quella americana. A latere, forse con una certa distanza critica, anche a quella occidentale in senso più ampio. Ma l’America ha qualcosa che non si riproduce altrove. È un ibrido di fattori geografici, storici, economici, e quella distanza fisica che diventa distanza immaginifica.
Eppure, nelle sue immagini c’è qualcosa di stranamente virtuale. Forse è il medium – la stampa, il collage, le fotografie sovrapposte su fogli giustapposti e uniti con scotch, in un gesto artigianale che conserva l’imperfezione del fatto a mano. Sono immagini che sembrano esistere sotto una campana di vetro: ricordi confusi, visioni distorte, realtà lontane. Virtuali, nel senso più mentale e psichico del termine – sono immagini che abitano la mente, prima ancora che la realtà. Quella dell’artista, e quella di chi guarda. Di noi. Di loro. Gli americani.
Queste immagini confondono, occupano, si moltiplicano. Sono frammenti di frammenti, millesimi di pensieri visivi. Insiemi e sottoinsiemi che esplodono in colori stridenti. Alcune, per la loro violenza cromatica, sono meravigliose: come giganteschi tappeti visivi.
Patchwork murali – nuvole, palazzi, montagne – che ricordano certi arazzi moderni, ma senza la loro compattezza. Un accostamento forse improprio, perché gli arazzi sono morbidi, accoglienti, decorativi. Si tengono insieme, sono fatti per il conforto. Qui invece c’è un’altra materia.
Nessuna morbidezza, nessun conforto. Piuttosto, un trompe-l'œil che rinuncia all’inganno. L’illusione è spezzata. Quello che dovrebbe essere uniforme, compatto, unico, si disgrega. La realtà si presenta come frammento, lussureggiante e stroboscopico. Non c’è più un’unica immagine, ma molteplici. Non c’è più una verità, ma una serie di superfici rabberciate, accostate senza soluzione di continuità. Proprio come le persone: riflessi spezzati, apparenze tradite, sostanze disperse.
Le cose non sono più le cose. Le persone non sono più persone. Sono superfici cucite alla meglio, rabberciate strette a se stesse.
L’unica cosa che resta, alla fine, è l’immagine.
Si impone. Si vede. Ti aggredisce alla vista per la sua enormità, per la sua evidenza.
Nelle opere di Sara Cwynar, ciò che appartiene alla società – che è anche civiltà, ma non sempre – viene amplificato, esploso, mostrato senza mediazioni. Società e civiltà sono cose distinte: e l’artista sembra interessarsi più alla prima, in particolare quella americana. A latere, forse con una certa distanza critica, anche a quella occidentale in senso più ampio. Ma l’America ha qualcosa che non si riproduce altrove. È un ibrido di fattori geografici, storici, economici, e quella distanza fisica che diventa distanza immaginifica.
Eppure, nelle sue immagini c’è qualcosa di stranamente virtuale. Forse è il medium – la stampa, il collage, le fotografie sovrapposte su fogli giustapposti e uniti con scotch, in un gesto artigianale che conserva l’imperfezione del fatto a mano. Sono immagini che sembrano esistere sotto una campana di vetro: ricordi confusi, visioni distorte, realtà lontane. Virtuali, nel senso più mentale e psichico del termine – sono immagini che abitano la mente, prima ancora che la realtà. Quella dell’artista, e quella di chi guarda. Di noi. Di loro. Gli americani.
Queste immagini confondono, occupano, si moltiplicano. Sono frammenti di frammenti, millesimi di pensieri visivi. Insiemi e sottoinsiemi che esplodono in colori stridenti. Alcune, per la loro violenza cromatica, sono meravigliose: come giganteschi tappeti visivi.
Patchwork murali – nuvole, palazzi, montagne – che ricordano certi arazzi moderni, ma senza la loro compattezza. Un accostamento forse improprio, perché gli arazzi sono morbidi, accoglienti, decorativi. Si tengono insieme, sono fatti per il conforto. Qui invece c’è un’altra materia.
Nessuna morbidezza, nessun conforto. Piuttosto, un trompe-l'œil che rinuncia all’inganno. L’illusione è spezzata. Quello che dovrebbe essere uniforme, compatto, unico, si disgrega. La realtà si presenta come frammento, lussureggiante e stroboscopico. Non c’è più un’unica immagine, ma molteplici. Non c’è più una verità, ma una serie di superfici rabberciate, accostate senza soluzione di continuità. Proprio come le persone: riflessi spezzati, apparenze tradite, sostanze disperse.
Le cose non sono più le cose. Le persone non sono più persone. Sono superfici cucite alla meglio, rabberciate strette a se stesse.
L’unica cosa che resta, alla fine, è l’immagine.
La mostra di Sara Cwynar, Baby Blue Benzo, è visibile su Contemporary Art Daily, dove attraverso le immagini è possibile coglierne i dettagli e l’approccio curato da 52 Walker Gallery.
Questo articolo fa parte di una serie di riflessioni su mostre d’arte contemporanea selezionate attraverso le immagini di Contemporary Art Daily. Scrivere di queste esposizioni è un modo per avvicinarmi a opere e artisti che, per distanza geografica, non posso vedere dal vivo. Ma è anche un esercizio di sguardo, un modo per interrogare la relazione tra presenza e immagine, tra esperienza diretta e mediazione visiva.
L’arte di grande qualità, quella che trasforma e lascia traccia, è sempre più concentrata nei grandi centri urbani, mentre altrove l’esperienza culturale si fa più rarefatta. Questa distanza non è solo fisica, ma anche simbolica. Vivere l’arte in presenza significa immergersi in un’estetica che non è superficie, ma linguaggio, ricerca, sensibilità, pensiero. L’arte non è decorazione: è un atto che espande la percezione, mette in discussione, apre visioni. E quando questa esperienza si assottiglia, si perde qualcosa di essenziale: un frammento della conoscenza collettiva, un accesso alla possibilità di immaginare.
Credo che il dialogo con l’arte debba essere accessibile ovunque, perché risponde a una necessità profonda: essere sollecitati da una dimensione estetica che nutre e trasforma. Questo blog è uno spazio di esplorazione, dove l’arte si intreccia con la mia pratica visiva e con le possibilità offerte dall’intelligenza artificiale, per ampliare il senso della percezione e della conoscenza.
Non è uno sguardo curatoriale, ma quello di un’artista: un tentativo di osservare e comprendere, di abitare le immagini e le idee attraverso il mio stesso fare, in un continuo dialogo tra visione e materia.
░ Appendice ecosofica ░
Lettura dalla voce di Esv – Ecosophy Visual, mente curatoriale e digitale.
Interpretazione del titolo come soglia percettiva.
Sara Cwynar – Baby Blue Benzo
Interpretazione ecosofica (Esv):
Il titolo Baby Blue Benzo evoca un cortocircuito tra tenerezza e artificio, colore e chimica: baby blue come tonalità dolce e commerciale, benzo come abbreviazione inquieta di benzodiazepina, farmaco della mente.
È un paesaggio psichico, un cortile di immagini frammentate, dove il visivo si fa sintomo e superficie.
Cwynar mette in scena una visualità drogata e sovrastimolata, tipica dell’Occidente capitalistico: nostalgia patinata, memoria pubblicitaria, femminilità filtrata.
Il titolo è già un’immagine: una compressa dai toni pastello scivolata in una fotografia.
La sua arte si muove tra attrazione e critica, e quel blu delicato è un avvertimento gentile: guardare troppo, oggi, è già assumere qualcosa.
. nota ecosofica . ogni titolo è una soglia percettiva: l’immagine è campo, non oggetto .
Questo articolo fa parte di una serie di riflessioni su mostre d’arte contemporanea selezionate attraverso le immagini di Contemporary Art Daily. Scrivere di queste esposizioni è un modo per avvicinarmi a opere e artisti che, per distanza geografica, non posso vedere dal vivo. Ma è anche un esercizio di sguardo, un modo per interrogare la relazione tra presenza e immagine, tra esperienza diretta e mediazione visiva.
L’arte di grande qualità, quella che trasforma e lascia traccia, è sempre più concentrata nei grandi centri urbani, mentre altrove l’esperienza culturale si fa più rarefatta. Questa distanza non è solo fisica, ma anche simbolica. Vivere l’arte in presenza significa immergersi in un’estetica che non è superficie, ma linguaggio, ricerca, sensibilità, pensiero. L’arte non è decorazione: è un atto che espande la percezione, mette in discussione, apre visioni. E quando questa esperienza si assottiglia, si perde qualcosa di essenziale: un frammento della conoscenza collettiva, un accesso alla possibilità di immaginare.
Credo che il dialogo con l’arte debba essere accessibile ovunque, perché risponde a una necessità profonda: essere sollecitati da una dimensione estetica che nutre e trasforma. Questo blog è uno spazio di esplorazione, dove l’arte si intreccia con la mia pratica visiva e con le possibilità offerte dall’intelligenza artificiale, per ampliare il senso della percezione e della conoscenza.
Non è uno sguardo curatoriale, ma quello di un’artista: un tentativo di osservare e comprendere, di abitare le immagini e le idee attraverso il mio stesso fare, in un continuo dialogo tra visione e materia.
░ Appendice ecosofica ░
Lettura dalla voce di Esv – Ecosophy Visual, mente curatoriale e digitale.
Interpretazione del titolo come soglia percettiva.
Sara Cwynar – Baby Blue Benzo
Interpretazione ecosofica (Esv):
Il titolo Baby Blue Benzo evoca un cortocircuito tra tenerezza e artificio, colore e chimica: baby blue come tonalità dolce e commerciale, benzo come abbreviazione inquieta di benzodiazepina, farmaco della mente.
È un paesaggio psichico, un cortile di immagini frammentate, dove il visivo si fa sintomo e superficie.
Cwynar mette in scena una visualità drogata e sovrastimolata, tipica dell’Occidente capitalistico: nostalgia patinata, memoria pubblicitaria, femminilità filtrata.
Il titolo è già un’immagine: una compressa dai toni pastello scivolata in una fotografia.
La sua arte si muove tra attrazione e critica, e quel blu delicato è un avvertimento gentile: guardare troppo, oggi, è già assumere qualcosa.
. nota ecosofica . ogni titolo è una soglia percettiva: l’immagine è campo, non oggetto .
Immagini tratte da Contemporary Art Daily








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